Sconcerto ma non meraviglia destano le posizioni aggressive di Confindustria foggiana, circa il Regolamento sulla realizzazione di impianti eolici introdotto di recente dalla Regione. E’ nota ormai la pressione a tutto campo esercitata dalla lobby dell’eolico industriale che ha condizionato il tessuto sociale delle comunità, figurarsi l’ambito di Confindustria, che vede nascere appositamente una sezione “energia”, non a caso sotto la guida del principale azionista di una società eolica. Ma sono giustificate tali posizioni ? Intanto và precisato che il carattere di “pubblica utilità”, decantato da Confindustria e da tutte le società eoliche, è conferito a tali impianti SOLO se e quando autorizzati da una Autorizzazione Unica regionale ai sensi del D.Lgs 387/03. La pubblica utilità, infatti, è la base giustificativa di paventati espropri negoziati da procacciatori che si aggirano nelle campagne alla ricerca di contratti per opzionare i terreni degli agricoltori, ed è tirata puntualmente in ballo a sostegno della realizzazione di impianti eolici dovunque e comunque. Quanto al “laccio” dei Piani Regolatori per gli Impianti Eolici (PRIE) che i comuni dovrebbero realizzare, in realtà le società eoliche non avranno poi molti problemi nel confezionare gli stessi, che le Amministrazioni comunali poi vestiranno con una copertina istituzionale e faranno propri, approvandoli. Il tutto nell’ambito di un iter ancora pressoché blindato alla società civile (unico elemento non condizionato dal fattore economico): il percorso è caratterizzato infatti da scarsa evidenza pubblica, tempi inadeguati a promuovere qualunque tipo di contributo conoscitivo, accessibilità ai documenti tutt’altro che garantita. Non và taciuto come già con le precedenti Linee Guida , definite da Confindustria come norme di una ristrettezza “terrificante” (!), i contenuti vincolanti sono stati illegittimamente disattesi e sia stata determinata una autentica VERGOGNA nazionale che si sta materializzando sotto gli occhi di tutti, con l’assoggettamento, per il momento, di interi comprensori rurali per 10.000-40.000 Ha. “Piantagioni” di torri eoliche industriali, cantieri, strade, opere connesse, elettrodotti, stazioni elettriche, su vasta scala… con il pregiudizio di intere macro aree sotto il profilo paesaggistico, naturalistico, storico, culturale, urbanistico. Sono state cosi scalzate politicamente e fisicamente intere zone per la realizzazione delle Aree Protette Regionali, si è determinato il degrado di popolazioni faunistiche di rilievo, non senza innescare gravi fenomeni di ingiustizia sociale, che proprio la Daunia Wind dovrebbe ben conoscere nella zona di Monte Calvello, alterando gli equilibri democratici delle piccole comunità. Tutto questo, da cui Confindustria si estrania, è avvenuto attraverso un processo valutativo indegno di questo nome con la possibilità di presentare progetti in cui è stato sufficiente banalizzare o negare sommariamente la presenza di valori ambientali per proseguire fino al parere favorevole. Pareri determinati dalla incredibile e sconsolante discrezionalità riposta in capo ai dirigenti regionali che hanno ritenuto la stragrande maggioranza di tali impianti ESCLUSI dalla assoggettabilità a V.I.A., con quello che ne consegue anche sulla propaganda pubblica delle procedure di parere ambientale! Centinaia e centinaia di mega impianti industriali, quindi, realizzati (o già con parere ambientale positivo), SENZA alcuna Valutazione di Impatto Ambientale ! Se Confindustria rappresenta tutte le società eoliche dovrebbe ringraziare ! Anche il parametro di occupazione che va dal 4 al 6%, che secondo Confindustria genererebbe allarmismi infondati, va letto in senso strettamente matematico, e non lascia scampo a false interpretazioni. Si consideri proprio l’agro comunale di Troia, la cui Amministrazione comunale ha determinato grande scalpore autorizzando (per quanto di propria competenza) circa 280 torri eoliche industriali. Applicando il parametro in questione nel limite del 4% l’inondazione di tali manufatti industriali avrebbe avuto un limite massimo potenziale consentito di “sole” 147 torri, o con il 6% addirittura di “sole” 221 torri (da 2MW, oltre 100 m di altezza e 71 m di diametro). Per contro va evidenziato come l’unico aspetto positivo, insieme a quello (in linea di principio) introdotto con il PRIE, sia rappresentato dall’esclusione di alcuni importanti comprensori predefiniti. Aspetto tuttavia pericolosamente depotenziato per l’inconsistente fascia di rispetto definita per dette aree. Si pensi all’identità di una zona archeologica o dei tratturi regi “tutelata” dal rispetto dei….. 100 m di distanza…. previsti a fronte dell’imponenza di un pilone eolico che supera i 100 m di altezza ! O si pensi alla tutela che si vorrebbe garantire a specie a rischio che frequentano un’area protetta e che hanno home range minimi di alcuni km come i rapaci veleggiatori: 200 m di rispetto, da cui è possibile assediarne il perimetro, rappresenta un margine inconsistente e inaccettabile che non trova alcun conforto tecnico – scientifico ! Mancano, inoltre, all’appello delle zone non idonee una serie di aree di notevole importanza come le Zone Umide, le fasce di Costa meno compromesse, i siti riproduttivi per le specie minacciate di estinzione, le Zone di Ripopolamento e Cattura, gli Ambiti C e D del PUTT Regionale e le IBA (Important Birds Areas). Queste ultime parificate dalla Unione Europea come ZPS, aprendo cosi la possibilità a pericolose nuove procedure di infrazione tristemente note nell’ultimo periodo. Per finire, rispetto alla precedente normativa, scompaiono i limiti alla lunghezza degli elettrodotti, gli obblighi agli studi anemometrici sulla ventosità (rimpiazzabili con deduzioni da banche dati o da modelli previsionali da altri enti pubblici), e l’obbligo che imponeva lo studio preliminare delle migrazioni nell’area interessata (anch’esso puntualmente MAI realizzato disattendendo spregiudicatamente la legge). La posizione di Confindustria è legata per sua stessa ammissione ad interessi di carattere meramente finanziario, opinabilmente definiti “investimenti”, e, come si vede, avulsa dalle conseguenze su di una realtà territoriale già duramente provata da questo fenomeno che ha mostrato tutta la sua virulenza. La parola “investimenti” è riferibile ad un senso più elevato solo se si accompagna non solo al ricavo economico dell’investitore ma anche ad una crescita in termini occupazionali, sociali, e di sviluppo che non intacchi il capitale ambientale ma, anzi, magari lo accresce. Diversamente si riduce ad una mera operazione finanziaria, per di più pesantemente dannosa per il territorio, esattamente come è già accaduto. E all’operazione di “investimento” per la realizzazione di 135 torri a cura della Daunia Wind, sbandierata da Confindustria, non può non fare eco il silenzioso ricavo esponenziale che ne deriverebbe per la stessa società dalla produzione elettrica incentivata: tra i 100 e i 120 mln di euro, oltre 200 mld di vecchie lire. ALL’ANNO ! In Capitanata sono momentaneamente attivi impianti per circa 400 MW realizzati in sfregio alle più elementari regole di pianificazione e programmazione. Questi fruttano un affare tra 148 e 180 milioni di euro all’anno ! Il rientro economico di un “investimento” di questo genere è dell’ordine dei 2 anni o poco più. Sempre che…. anche per la realizzazione non si vada a mungere altre risorse economiche pubbliche (es. L.488). Quali ricadute sul territorio, a parte le briciole concesse alle amministrazioni affamate? Ed è singolare come Confindustria, al pari dell’ANEV, si preoccupi di contrastare i progetti eolici off-shore pur di monopolizzare il territorio con impianti sulla terra ferma. Gli impianti a mare, come i nuovi impianti a terra, tuttavia, fanno parte di una scommessa che si sta miseramente perdendo: rispetto alle nuove centrali non viene imposto il negoziato per assorbire almeno una parte della deprecabile eredità dell’eolico “selvaggio” di cui il “nuovo” avrebbe dovuto farsi carico, attraverso la delocalizzazione di impianti vecchi o problematici. In definitiva è promossa una pericolosa evoluzione “genetica” dell’eolico, cosi come prospettato dai diktat di Confindustria che pretende mano libera sul territorio: l’eolico che fino al recente consuntivo si era meritato l’appello di “selvaggio” ora rischia seriamente di trasformarsi in eolico “senza ritegno” ! O forse c’è ancora un margine di recupero se la Regione non solo manterrà il Regolamento ma lo integrerà con i requisiti garantisti minimi evidenziati. Foggia, 11.07.2006 LIPU sezione prov.le Foggia